“I fedeli hanno sentito, hanno sperimentato che era “un uomo di Dio””.
E’ un passo del decreto che ha fissato al 1 maggio 2011 la Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II, ma è anche il senso profondo del ricordo di chi l’ha conosciuto da vicino, nel quotidiano e nella cordialità di numerosi incontri privati. Due coniugi della Val Gandino, Mario Franchina ed Emma Torri, hanno conosciuto il Santo Padre nella quiete di Castelgandolfo, complici la frutta e le verdure della campagna romana. Una storia semplice, quasi incredibile, testimoniata, nel Santuario della Madonna d’Erbia a Casnigo, dalla Veste Talare del Papa loro donata, probabilmente l’ultima da lui indossata prima di morire il 2 aprile del 2005.
“Sicuramente – sottolinea Emma Torri, originaria di Gandino – se non l’ultima è la più vissuta. Nei delicati rammendi, nell’usura di alcune parti è ben visibile ancor’oggi l’attività instancabile di un grande Uomo di Dio”. Mario Franchina, casnighese, è morto nel febbraio 2010 dopo una breve malattia. I coniugi si erano trasferiti per l’attività tessile ad Aprilia negli anni ’60. Il Vaticano aveva insignito Franchina della prestigiosa onorificenza di Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno.
“Tutto – ricorda Emma – cominciò per puro caso. Mario conobbe in aereo mons. Gaetano Bonicelli, quando era vescovo di Albano, e si offrì di dar lui un passaggio in auto all’arrivo in aeroporto. Nacque un’amicizia e, durante una cena, l’idea di offrire al Papa la buona frutta della campagna romana, che mai mancava in casa nostra”. Quella “fornitura” dell’estate 1979 fu la prima di una lunghissima serie protrattasi per tutto il pontificato.
“Durante il periodo estivo – continua Emma – Mario, i nostri figli o i nostri collaboratori, salivano a Castelgandolfo ogni martedì, portando un assortimento di frutta e verdure della zona. Si instaurò un’amicizia spontanea con il segretario mons. Stanislao Dziwisz, oggi cardinale e arcivescovo di Cracovia, con le suore deputate al servizio personale del Papa e con le guardie in servizio presso la residenza estiva del Pontefice. Mario raccontava di come fosse una festa l’arrivo a Castelgandolfo, quando oltrepassava fra tanti sorrisi l’ingresso principale con il suo furgone rosa con una vistosa scritta pubblicitaria. Tutto normale e tutto semplicemente bello ”.
L’amicizia più incredibile, semplice e sentita, fu quella che crebbe negli anni con il Papa.
“A fine stagione ci riceveva per i saluti – aggiunge – ma capitava di incontrarlo anche in cucina o nei corridoi. Chiedeva sempre di Giuseppe, Francesca e Fabrizio, i nostri figli, ci invitava a portarli con noi. Assistevamo alla messa che celebrava nel cortile interno della villa pontificia oppure, negli ultimi anni, nella cappella personale, dove il numero dei presenti era limitato a poche persone. Celebrazioni molto semplici, ma tanto intense. A volte abbiamo avuto la possibilità di allargare l’invito a parenti e amici. Fu il caso nel 1986 della Corale S.Bernardino di Semonte, nella quale cantano molti casnighesi, che accompagnò la messa nel cortile interno. Ancora avverto l’emozione provata. Il Papa chiese anche la replica, alla fine, di un canto a cappella particolarmente suggestivo”.
I ricordi sono tantissimi, al punto che anche le centinaia di immagini scattate da Arturo Mari, fotografo ufficiale di Sua Sanità, riescono appena a darne un’idea. C’era il tradizionale scambio di doni in Vaticano nel periodo del Natale, ma anche la torta di carote con cui le Guardie Svizzere salutavano quei simpatici amici bergamaschi, che portavano i meloni maturati al punto giusto e le prugne più gustose, ma anche verdure, tanto apprezzate dal Papa.
“Mons. Stanislao ci confidò che in un’occasione il Papa, in vacanza a Castelgandolfo, volle provare a venirci a trovare ad Aprilia. Dovettero desistere non era il caso di fermarsi a chiedere informazioni per poter raggiungere la nostra casa”.
Rispetto alle curiosità e alla “statistica”, prevalgono nel ricordo la fede e la semplicità, le stesse che al Santuario della Madonna d’Erbia circondano nella quiete quella Veste ormai reliquia.
“Abbiamo conosciuto il Papa giovane e vigoroso – ricorda Emma – ma l’abbiamo incontrato anche durante la sofferenza degli ultimi anni. Ricordo le sue mani tremanti che ancora cercavano, nell’ultimo incontro a fine estate 2004, le mani di mio marito e le mie per un saluto e una benedizione. Un gesto che aveva la stessa intensità con cui negli anni precedenti leggeva gli sguardi: sentivi che parlava alla tua anima. Negli ultimi anni era grande la voglia di tradurre l’affetto del cuore in un abbraccio caloroso. Mia figlia un giorno lo fece e il Papa sorrise”.
All’indomani della morte del Papa, Mario Franchina, la moglie Emma e i figli furono invitati da mons. Dziwisz nella Sala Clementina, dove la salma era esposta prima di essere trasferita in San Pietro.
“Erano ammesse – ricorda Emma – solo le persone accreditate presso la Santa Sede e le personalità. Noi entrammo da un ingresso secondario e ci fu concesso di sostare a lungo in preghiera vicino alla salma del Papa. All’uscita mons. Stanislao, affiancato da madre Tobiana, la suora sempre vicina al Santo Padre, ci fece dono della Veste, confezionata in una scatola e di un fazzoletto con il nome del Papa ricamato in modo molto semplice. Lo serbo ancora fra le cose più care”.Un sorriso si accende come un cero votivo quando Emma ripensa all’uscita dalla Sala Clementina, con tutti quei notabili in fila e lei con quella scatola da reggere con emozione, “scortata” dal marito e dalla figlia.
“La stessa emozione provata durante il viaggio in treno nelle settimane successive, quando portammo la Veste a Casnigo e siglammo, il 13 maggio, l’atto notarile che la lega per sempre al Santuario della Madonna d’Erbia”.
Una coincidenza temporale (il 13 maggio è anche la data dell’attentato al Papa nel 1981 e festa liturgica della Madonna di Fatima) che annoda ulteriormente i fili di una storia semplice e straordinaria che la Veste della Madonna d’Erbia racconterà per sempre ai posteri.
Nell’ottobre 2005 al Museo della Basilica di Gandino, un altro ricordo legato a Papa Wojtyla: uno zucchetto, pure donato ai coniugi Franchina da mons. Dzwisz e consegnato al gandinese mons. Lorenzo Frana, per molti anni osservatore permanente della Santa Sede presso l’Unesco. Lo zucchetto è il piccolo copricapo bianco portato normalmente dal Papa, che gli viene tolto solo durante la consacrazione della S.Messa: da qui il nome anche di “solideo”, che significa “a Dio solo”. In occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II lo zucchetto è stato trasferito a Casnigo ed esposto insieme alla Veste talare.